In un panorama globale segnato da crescenti tensioni tecnologiche e geopolitiche, TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Co), il colosso taiwanese dei semiconduttori, ha compiuto una mossa audace e strategica: un investimento di ben 100 miliardi di dollari negli Stati Uniti.
L'annuncio ufficiale, avvenuto alla Casa Bianca con il Presidente Trump e l'amministratore delegato di TSMC, C.C. Wei , segna un punto di svolta nel "confronto tecnologico" tra Stati Uniti e Cina.
Questo accordo, destinato a concretizzarsi nell'arco di quattro anni, rappresenta una risposta diretta alle pressioni esercitate dagli USA per rilocalizzare la produzione di chip e ridurre la dipendenza dall'Asia.
L'investimento si tradurrà nella costruzione di impianti di produzione di semiconduttori all'avanguardia sul suolo americano, con un occhio di riguardo all'Arizona, dove TSMC ha già avviato la produzione di chip da 4 nanometri.
Un elemento chiave di questa strategia è la creazione di un impianto avanzato di "packaging" negli USA, che consentirebbe di produrre chip finali etichettati come "statunitensi", potenzialmente aggirando dazi e restrizioni commerciali.
Per evitare i dazi americani (e salvare Taiwan), TSMC potrebbe fare wafer in casa ma chip avanzati “made in USA”
Ma cosa prevede esattamente questo accordo? L'obiettivo primario è aumentare la produzione interna di semiconduttori, rafforzando la sicurezza nazionale e riducendo la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento.
Si stima che l'iniziativa creerà tra i 20.000 e i 25.000 posti di lavoro, un'iniezione significativa per l'economia americana. Allo stesso tempo, il governo di Taiwan si è impegnato a supportare TSMC in questa operazione, garantendo però che la tecnologia più avanzata rimanga saldamente ancorata in patria.
Infatti, anche con i nuovi impianti negli USA, solo una frazione della capacità produttiva globale di TSMC (circa il 5-7%) sarà dislocata negli Stati Uniti. A testimonianza di questo impegno, TSMC ha accettato di utilizzare la sua tecnologia di punta, denominata "A16", nel sito produttivo in Arizona.
Le conseguenze di questo investimento sono molteplici e complesse. Dal punto di vista economico, si prevede un rafforzamento dell'industria dei semiconduttori negli USA, con un impatto positivo sulla crescita e sulla competitività.
Tuttavia, è importante considerare che gli impianti statunitensi potrebbero generare margini di profitto inferiori rispetto a quelli di Taiwan (30-35% contro la media aziendale), con una potenziale riduzione del margine lordo complessivo di TSMC.
Per compensare, l'azienda potrebbe esercitare pressioni sui fornitori per ottenere condizioni più vantaggiose. Inoltre, nonostante gli sforzi di rilocalizzazione, gli impianti americani continueranno a dipendere dal supporto tecnico proveniente da Taiwan, e questo evidenzia la centralità del know-how taiwanese nel settore.
Quali sono, quindi, i prossimi passi?
Innanzitutto, l'investimento dovrà superare il vaglio del governo di Taiwan, che ne valuterà la conformità alle leggi locali e la coerenza con gli interessi degli investitori. Successivamente, TSMC procederà con la costruzione dei nuovi impianti in Arizona e negli Stati Uniti.
È bene ricordare che la realizzazione del primo stabilimento in Arizona ha subito ritardi e aumenti di costi, il che suggerisce che il percorso non sarà privo di ostacoli.
Infine, sullo sfondo si staglia la possibilità di un inasprimento dei controlli sulle esportazioni di chip verso la Cina, una mossa che potrebbe avere ripercussioni significative sui prodotti realizzati da TSMC per il mercato cinese.
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