Le nazioni unite hanno dichiarato il 2025 l'International Year of Quantum Science and Technology, l'anno della Scienza e Tecnologia Quantistica: nel 1925, il lavoro teorico di Werner Heisenberg, con l'aiuto di Max Born e Pascual Jordan, portò alla prima formulazione matematica completa della meccanica quantistica. Un anno dopo, Erwin Schrödinger formulerà la funzione d'onda e sempre Max Born ne darà l'interpretazione probabilistica, scardinando definitivamente i fondamenti della fisica classica: quando si indaga la natura su scala atomica, tutto quello che possiamo conoscere sono solo probabilità.

Da quel momento, la nuova fisica quantistica inizia un viaggio lungo un secolo di continue nuove scoperte, riuscirà con successo a descrivere i risultati sperimentali di uno sterminato numero di fenomeni, a predirne di sconosciuti e a trovare applicazioni che hanno portato ad un progresso tecnologico senza precedenti nella storia dell'Umanità, dall'energia atomica, all'elettronica, alle telecomunicazioni, all'informatica.

Eppure, per tutti i suoi straordinari risultati, compresa la formulazione del modello standard che descrive le particelle elementari e tre delle quattro forze fondamentali, dopo 100 anni ancora si dibatte su quale sia il significato profondo della fisica quantistica: perché funziona così bene anche se rinuncia definitivamente a descrivere in modo razionale la realtà che ci circonda? Uno dei più grandi fisici del novecento, Richard Feynman, che fu anche uno straordinario divulgatore, disse in una celebre lezione "nessuno capisce la meccanica quantistica [...]. Se possibile non continuare a chiederti 'ma come fa ad essere così'? perché finirai giù per lo scarico, in un vicolo cieco da cui nessuno è mai uscito. Nessuno sa perché è così". Per partecipare allora a questo importante anniversario, ripercorriamo le tappe fondamentali di questa rivoluzione iniziata 100 anni fa e che continua ancora oggi a far discutere.

La crisi della fisica classica

A cavallo tra fine '800 e inizio '900, la fisica sembrava ormai indirizzata a descrivere con successo ogni fenomeno: dal moto dei pianeti, all'elettromagnetismo, l'edificio del sapere sembrava ormai essere quasi completo. Ma più la ricerca cominciava a spingersi nella profondità della natura della materia, penetrando dentro le molecole, alla ricerca dell'atomo e della sua struttura, più le cose cominciavano a diventare inspiegabili.

La fisica classica non riusciva a spiegare la radiazione del corpo nero misurata sperimentalmente: l'intensità della luce prevista dalla teoria aumentava all'infinito al crescere della frequenza.

Il primo mattone della rivoluzione quantistica venne posto da Max Planck nel 1900 con la sua soluzione al problema della catastrofe ultravioletta: per descrivere il modo in cui i corpi caldi emettono luce, le leggi della fisica classica finivano per prevedere che un corpo incandescente avrebbe dovuto emettere radiazione in quantità infinita alle alte frequenze, l'ultravioletto appunto. Eppure i dati sperimentali mostravano che i corpi seguivano una curva ben precisa. Planck intuì che il problema poteva essere risolto facendo un'assunzione all'epoca senza alcuna base teorica, cioè che un corpo nero potesse emettere o assorbire energia non in modo continuo, ma in pacchetti discreti elementari di energia, multipli interi della quantità elementare E=hν, dove h è la costante di Planck e ν la frequenza della radiazione elettromagnetica. Planck definì questi pacchetti di energia "quanta", dal latino "quantum" e per la loro scoperta vincerà il Nobel nel 1918.

Max Planck, la scoperta di quanti di energia gli valse il premio Nobel.

Planck non era in grado di spiegare il significato fisico di questa assunzione, ricorse semplicemente a questo "trucco" quasi per disperazione per far tornare i conti. Nel 1905, però, Albert Einstein espande l'idea di Planck e riesce a spiegare con successo l'effetto fotoelettrico postulando per la prima volta che la luce non è costituita da onde continue, ma da entità discrete, i fotoni (sarà in realtà Gilbert N. Lewis a chiamare i quanti di luce in questo modo nel 1926). Einstein vincerà il premio Nobel per la fisica nel 1921 per questa scoperta, e sarà sempre Einstein a mostrare che i fotoni sono particelle vere e proprie, dotate di quantità di moto. Era una vera rivoluzione: la luce, che fino ad allora era considerata un’onda, si comportava come una particella in certi contesti. Ma non era l'unico enigma. Pur essendo costituita da particelle, la luce manteneva allo stesso tempo le proprietà di un'onda!

Un'altra area di ricerca sempre legata alla luce era il tentativo di spiegare l'origine delle linee negli spettri di emissione dei vari atomi. Secondo i modelli atomici dell'epoca, utilizzando le leggi della fisica classica, gli elettroni orbitanti attorno al nucleo avrebbero dovuto irradiare energia continuamente e precipitare nel nucleo in una frazione di secondo. Eppure, come dimostra tutto ciò che ci circonda, gli atomi sono stabili. Anche in questo caso la soluzione arrivò nella forma di un'idea rivoluzionaria: nel 1913, Niels Bohr propose un modello dell'atomo in cui gli elettroni non potevano assumere qualsiasi energia, ma solo valori discreti, saltando da un’orbita all’altra in modo quantizzato. Fu il primo modello atomico (oggi superato) in grado di spiegare accuratamente le linee spettrali dell'atomo di idrogeno.

Il passo decisivo: Heisenberg e Schrödinger danno forma alla nuova teoria quantistica

La fisica quantistica dei primi anni venti era un rincorrersi di intuizioni che funzionavano per risolvere dei problemi specifici e con tanti paletti, ma mancava ancora una descrizione coerente che potesse sostituire le leggi della fisica classica nel descrivere gli atomi e gli elettroni. Il modello di Bohr ad esempio funzionava bene per l’atomo di idrogeno, ma falliva nel descrivere gli atomi più complessi. 

Nel 1924 arriva un nuovo tassello fondamentale: il fisico francese Louis de Broglie introduce nella sua tesi di dottorato la descrizione dell'elettrone non più come una particella, ma come un'onda, arrivando a ipotizzare che a qualsiasi particella di materia in movimento potesse essere associata un'onda. Se la luce poteva comportarsi sia come un’onda che come una particella (come mostrato da Einstein), perché non poteva valere lo stesso per gli elettroni e altre particelle?

Werner Heisenberg, fu il primo a dare una formulazione completa alla meccanica quantistica ne 1925.

Nel 1925, un giovanissimo Werner Heisenberg, fresco di dottorato, stava lavorando presso l'università di Göttingen sotto Max Born per cercare di arrivare ad una formulazione in grado di trattare i nuovi parametri quantistici abbandonando la fisica classica. Anziché cercare di descrivere il movimento degli elettroni con traiettorie classiche, Heisenberg fece un passo radicale: rinunciò completamente all'idea di orbite elettroniche e si concentrò solo sulle quantità direttamente osservabili, come le transizioni tra livelli energetici, frequenze e ampiezze. La leggenda vuole che nel giugno del 1925 ritiratosi sull'isolotto di Helgoland sulla costa tedesca per riprendersi da un malanno, Heisenberg completò in una decina di giorni la sua formulazione della meccanica quantistica, in una forma matematica alquanto complessa e macchinosa.

Lavorando con Max Born e Pascual Jordan, più esperti di lui in matematica, Heisenberg scoprì che le sue formule per descrivere le  proprietà quantistiche degli atomi potevano essere riscritte sotto forma di matrici. Il risultato sorprendente fu che, a differenza delle quantità fisiche classiche, le matrici delle grandezze quantistiche per il calcolo di posizione e quantità di moto non commutavano, cioè l’ordine in cui vengono moltiplicate influisce sul risultato, un aspetto che porterà poi pochi anni dopo alla formulazione del principio di indeterminazione di Heisenberg. Fin da subito però, Heisenberg si accorse di un dato di fatto: non è possibile calcolare l'evoluzione della posizione dell'elettrone nel tempo partendo da ciò che possiamo osservare. Qualcosa di inaudito nel mondo della fisica classica newtoniana, dove date le condizioni iniziali è possibile predire l'evoluzione di un sistema fisico nel tempo con certezza.

Erwin Schrödinger, poco dopo il lavoro di Heisenber, Born e Jordan, presentò la sua formulazione della meccanica quantistica basata sulla teoria ondulatoria di de Broglie.

Quella di Heisenberg, Born e Jordan fu la prima formulazione matematica completa della meccanica quantistica, astratta e difficile da usare, ma come dimostrato sin da subito da fisici come Wolfgang Pauli, in grado di fornire risultati coerenti con i dati sperimentali.

Poco dopo, un altro fisico, Erwin Schrödinger, sviluppò in modo indipendente un approccio differente: basandosi sul postulato di Louis de Broglie sulla natura ondulatoria della materia, Schrödinger introdusse l'equazione d’onda (equazione di Schrödinger) che descriveva il comportamento degli elettroni con una funzione matematica, la funzione d’onda: se la materia si comportava come un'onda, doveva esistere allora un'equazione che descriveva come quest'onda si evolve nel tempo. L'equazione di Schrödinger permette di calcolare come cambia la funzione d'onda di una particella nel tempo, e quindi di descrivere il comportamento di un sistema quantistico. La cosa sorprendente fu che la nuova formulazione, pur così diversa da quella di Heisenberg, portava agli stessi risultati empirici. Sarà lo stesso Schrödinger a dimostrare (inizialmente solo in modo parziale) che la sua nuova meccanica ondulatoria e la meccanica delle matrici di Heisenberg erano matematicamente equivalenti, due facce della stessa medaglia.

Cosa rappresenta la funzione d’onda? La fine del determinismo classico

Nessuno però sapeva cosa significasse fisicamente la funzione d'onda. Schrödinger inizialmente sperava rappresentasse una sorta di "onda materiale", simile alle onde classiche. Ma questa interpretazione si rivelò problematica perché non spiegava come mai, quando si effettua una misura, si osserva sempre una particella in un punto preciso, e non un'onda diffusa.

A dare un significato, rivoluzionario per tutto il mondo della fisica, alla funzione d'onda fu Max Born: la funzione d'onda non rappresenta la particella stessa, ma solo la probabilità di trovarla in un certo punto dello spazio. Un'idea rivoluzionaria, perché implicava che la meccanica quantistica non descriveva più un mondo deterministico, come da sempre hanno fatto le leggi della fisica classica, ma un universo governato da probabilità: non possiamo sapere con certezza dove si trova una particella prima di misurarla, ma solo calcolarne la probabilità di trovarla in un certo punto.

I protagonisti della rivoluzione quantistica alla quinta conferenza di Solvay nel 1927, che vide l'accesa contrapposizione tra Einstein e Bohr, che insieme a Heisenberg aveva portato alle estreme conseguenze il lavoro di Born, portando all'interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica. Da sinistra a destra, prima fila, dal basso: Langmuir, Planck, Madame Curie, Lorentz, Einstein, Langevin, Guye, Wilson, Richardson. Seconda fila: Debye, Knudsen, W. L. Bragg, Kramers, Dirac, Compton, de Broglie, Born, Bohr. Terza fila : Piccard, Henriot, Ehrenfest, Herzen, de Donder, Schrödinger, Verschaffelt, Pauli, Heisenberg, Fowler, Brillouin.

L'interpretazione probabilistica di Born innescò inevitabilmente un dibattito incandescente nella comunità scientifica, con una fitta schiera di scienziati, incluso Einstein, che pure gettò le fondamenta per questa rivoluzione, che non poteva accettare l'abbandono del determinismo. Secondo la cosiddetta interpretazione di Copenaghen, la funzione d’onda rappresenta una descrizione completa di un sistema quantistico e prima della misura, il sistema è in una sovrapposizione di stati: per esempio un elettrone può essere in più posizioni contemporaneamente. Quando si effettua una misura, la funzione d'onda collassa istantaneamente in uno stato ben definito, distruggendo ogni informazione sul suo passato e sul suo futuro. 

Lo stesso Schrödinger non era convinto di questa interpretazione ed elaborò anni dopo il famoso paradosso del gatto: un gatto viene chiuso in una scatola con un dispositivo che ha il 50% di probabilità di ucciderlo. Secondo questa interpretazione della meccanica quantistica, finché non si osserva l'interno della scatola, il gatto è descritto da una sovrapposizione di stati in cui è sia vivo che morto. Ma il buon senso ci dice che il gatto è o vivo o morto, non entrambi. Aprendo la scatola, la funzione d'onda collassa, e il gatto assumerà uno dei due stati, vivo o morto. Il paradosso evidenzia il problema del collasso: quando esattamente questa sovrapposizione si trasforma in una realtà tangibile? Come può il solo atto di osservare il sistema determinare se il gatto è vivo o morto? Attraverso quale processo fisico? Il significato del collasso della funzione d'onda, dell'atto della misurazione, del ruolo dell'osservatore, sono alcuni degli aspetti irrisolti della fisica quantistica, ancora oggi oggetto di grande dibattito nel mondo della scienza.

Niels Bohr e Albert Einstein, qui ritratti insieme, si sfidarono per una vita a colpi di esperimenti mentali sul significato della meccanica quantistica.

Tuttavia, il successo della nuova teoria nell'accordarsi con i risultati sperimentali era innegabile. Persino Einstein, che non volle mai riconoscere la meccanica quantistica come una teoria veramente completa in grado di descrivere la realtà, suo malgrado portò alla conferma di una delle sue caratteristiche più bizzarre: l'entanglement quantistico.

In un fondamentale articolo del 1935 intitolato "La descrizione quantistica della realtà fisica può ritenersi completa?", firmato con Boris Podolsky e Nathan Rosen, Albert Einstein propose un esperimento mentale che avrebbe dovuto dimostrare nelle sue intenzioni la non completezza della teoria quantistica: Einstein avanzò l'idea che stando alla meccanica quantistica due particelle avrebbero potuto essere entangled, cioè, semplificando al massimo, collegate in modo tale che conoscere lo stato di una implica immediatamente la conoscenza dello stato dell'altra, indipendentemente dalla distanza tra loro; un'azione a distanza che per Einstein violava il principio fondamentale di località. Per molto tempo, nessuno poteva dire se l'entanglement fosse un effetto reale o solo un difetto della teoria quantistica, ma diversi esperimenti negli anni successivi dimostrarono che Einstein aveva torto: l'entanglement è reale e oggi è alla base di tecnologie come i computer quantistici.

Il Modello Standard e il pezzo mancante del puzzle

Dopo la formulazione della meccanica quantistica negli anni ’20, la teoria si è evoluta per descrivere non solo gli elettroni negli atomi, ma anche le particelle subatomiche e le forze fondamentali della natura. Negli anni ’40 e ’50, grazie a scienziati straordinari come Richard Feynman, nacque la teoria quantistica dei campi, che combinava la meccanica quantistica con la relatività ristretta per descrivere le particelle come eccitazioni di campi quantistici. Questa teoria portò alla costruzione del Modello Standard, che descrive tutte le particelle elementari conosciute e le tre forze fondamentali (elettromagnetismo, interazione debole e interazione forte) in un unico quadro matematico coerente.

Richard Feynman, uno dei più grandi fisici statunitensi, premio nobel nel 1965 per la formulazione dell'elettrodinamica quantistica o QED.

L’elettrodinamica quantistica (QED) spiegava l’interazione tra luce ed elettroni con precisioni incredibili. L’interazione debole, formulata per la prima volta dal grande fisico italiano Enrico Fermi, venne poi unficata con l'elettrodinamica, portando alla formulazione dell'interazione elettrodebole. L’interazione forte, che tiene insieme i quark nei protoni e nei neutroni, fu spiegata dalla cromodinamica quantistica (QCD). La conferma sperimentale dell'esistenza del bosone di Higgs nel 2012 grazie agli esperimenti del Large Hadron Collider del CERN di Ginevra, consacrò definitivamente il Modello Standard come la migliore descrizione degli elementi fondamentali della natura.

Ma manca ancora qualcosa. Nonostante i suoi successi, il Modello Standard non tiene in alcun modo conto della quarta forza fondamentale della natura, la gravità. Il novecento ha partorito un'altra immensa teoria scientifica, la Relatività Generale di Albert Einstein, che aveva ricondotto la gravità non più ad una forza in senso newtoniano, ma ad un fenomeno emergente dalla geometria dello spaziotempo. Come la teoria quantistica, la Relatività Generale ha ottenuto innumerevoli conferme sperimentali delle sue previsioni, superando i test più difficili, come la conferma dell'esistenza di oggetti enigmatici come i buchi neri.

Le due teorie funzionano egregiamente nei loro rispettivi ambiti, ma ogni tentativo di riconciliarle ad oggi è risultato vano: teoria delle stringhe, gravità quantistica a loop, principio olografico, sono tante le strade battute che ad oggi non hanno prodotto risultati soddisfacenti.

E se Albert Einstein avesse sempre avuto ragione?

Uno dei più recenti rami di ricerca verso la riconciliazione della fisica quantistica con la relatività generale apre ad un'affascinante suggestione: due articoli scritti da Albert Einstein nel 1935, il già citato articolo sull'entanglement scritto con Rosen e Podolski, e l'articolo scritto con Rosen che descrive invece i ponti di Einstein-Rosen, una tipologia di wormhole, all'insaputa dello stesso Einstein nasconderebbero la chiave per risolvere il più grande problema della fisica moderna.

Albert Einstein nel 1920.

L'entanglement quantistico e i wormhole previsti dalla relatività sarebbero cioè due facce della stessa medaglia, visti da due punti di vista differenti. Secondo questa congettura, definita ER = EPR, dalle iniziali degli autori dei due articoli, quando due particelle sono entangled, potrebbero essere collegate da un wormhole nello spaziotempo, una sorta di "scorciatoia" che spiegherebbe le correlazioni istantanee senza violare la relatività. La conseguenza di questo ragionamento è che l'entanglement e la geometria dello spaziotempo sarebbero la stessa cosa.

I problemi teorici dietro questa congettura sono molti e irrisolti. Ma se così fosse sarebbe la grande rivincita del genio di Einstein, che rimase sempre convinto che la meccanica quantistica nascondesse una descrizione della realtà più profonda ancora da scoprire. Albert Einstein passò buona parte della sua vita cercando una teoria unificata senza successo. Se la gravità quantistica emergesse proprio da una sua intuizione inconsapevole, sarebbe uno dei più grandi colpi di scena della storia della scienza.